L’Universo in pentola 12° dispensa “I crostini del Ceppo” e “I pizzoccheri”
Scritto da: Mauro Biagetti, in Notizie, Articoli, Cieli e cibiSembra impossibile ma un altro anno è passato . Con la dodicesima dispensa chiudiamo il cerchio e la prima persona che desideriamo ringraziare è Marco Novi che fin dall’inizio ha assecondato questa iniziativa inserendo appositamente nel Blog la categoria “Cieli e cibi” che ha ospitato la saga epica dell’ “Universo in pentola”. Avevamo la speranza che queste 12 uscite mensili ,composte da una ricetta pisana e una inviata da altri partecipanti al CROSS Collaboration sparsi per l’universo ,servissero a rendere ancora più stabili i legami di amicizia tra i soggetti che partecipano al progetto. Era anche nostro scopo ritornare a una dimensione più “leggera” e scherzosa del nostro essere astrofili ,lasciando in un cantone gli astronomi e i professori ( casomai cercando i cuochi) .Chissà se lo scopo è stato raggiunto, questo lo diranno gli eventi futuri , noi ci abbiamo messo come sempre ,tutto l’impegno e l’entusiasmo che potevamo offrire . Ringraziamo calorosamente gli amici che si sono rovinati la reputazione inviando almeno una ricetta , li elenchiamo in ordine “sessista” e alfabetico : Giulia Iafrate, Elisa Londero, Alessandro Dimai, Marino Marizza, la coppia Marco Migliardi/Edy Dal Farra oltre al sottoscritto coadiuvato dalla g.le signora e un paio di amici.Alcuni dei pezzi arrivati ,come l’ultimo di Marco,sono degli spaccati veri di vita vissuta ,carichi di ricordi che vanno oltre la semplice ricetta,scritti in una prosa semplice e piacevole che meriterebbe forse un palcoscenico più ampio di questo pur ottimo blog. Per quel che ci riguarda riteniamo giusto (anche in questo caso) fermarci adesso e lasciare il doveroso spazio alle idee e desideri di chi lo vorrà. Poi vedremo…… “Cieli e cibi “resta ,e le Supernovae continueranno a scoppiare volenti o nolenti.
Buone feste a tutti e in bocca al lupo a chi ci crede ancora
I crostini del Ceppo
di Mauro Biagetti e Beatrice Falagiani
Come sempre è la ricetta di famiglia che si è affinata col tempo ed è arrivata a questa versione che vi invitiamo a provare .Stavolta le dosi vanno rispettate abbastanza fedelmente perché si tratta di ingredienti piuttosto saporiti e nessuno deve prevalere sugli altri. Si utilizza il pane toscano sciapito e l’ideale come dimensione è lo sfilatino da 250/350g da cui si ricaveranno delle fette di max 1 cm di spessore che andranno arrostite o tostate in forno..Per 6 soggetti ??? occorrono : 500g di fegatini di pollo puliti: 2 acciughe sottosale . 2 cucchiai di capperi sott’aceto, una noce di burro , mezza cipolla , 2 tazzine di olio buono, sale q.b. .Ovviamente dato che è il pranzo di Natale avremo sui fornelli anche un bel pentolone di brodo in ebollizione con dentro cappone o gallina e ossa e carne di manzo. Si inizia mettendo sul fuoco un tegame adeguato con l’olio e la cipolla tritata finemente, non appena è colorita si uniscono i fegatini e si portano a cottura con un pizzico di sale in 25/30min .Nel frattempo con la mezzaluna e il tagliere si tritano i capperi finemente assieme alle acciughe diliscate e lavate. A cottura ultimata si toglie il tegame dal fuoco e si aggiunge ai fegatini il trito di acciughe e capperi e il burro, anche più di una noce se si gradisce. Aiutandosi con una forchetta si schiacciano i fegatini e si miscela a lungo fino a ottenere un composto sufficientemente liscio da essere adagiato sul pane , se necessario allungare con poco brodo bollente.. E’ consigliabile lavorare a mano perché in questo modo si possono eliminare le nervature eventualmente presenti nei fegatini., assaggiate e se necessario correggete secondo i vostri gusti. A questo punto si preleva dalla pentola un po’ di brodo, meglio dalla superficie dove si accumula l’ottimo grasso disciolto e lo si mette in un piatto fondo caldo. Si passano velocemente le fette di pane nel brodo una alla volta e solo da un lato e si mettono nel vassoio di portata caldo con la parte bagnata sopra. Quindi si distribuisce con un cucchiaino il patè ottenuto su ogni crostino e si serve caldo .Ovviamente il composto potete spalmarlo su qualsiasi cosa ,compresa la polenta fritta, ma secondo noi da il massimo sul pane abbrustolito e bagnato col brodo . C’è da notare che questa semplice preparazione contiene tutti i sapori fondamentali : il dolce della cipolla e del burro, l’ aspro dei capperi sottaceto, il salato dell’acciuga e il retrogusto amaro del fegato e volendo anche l’umami , il quinto sapore fondamentale scoperto e codificato recentemente che viene associato al glutammato di sodio e quindi al brodo di carne. Forse è per questo che possono da soli assolvere al ruolo di antipasto anche in un pranzo importante come quello di Natale. Provate.
PIZZOCCHERI
di Marco Migliardi
A metà degli anni ’80 passai per motivi di lavoro tre anni in Valtellina. Furono anni pieni, che mi arricchirono di esperienze assolutamente fondamentali e indimenticabili, basti pensare che passai tre mesi nella stessa pensione che ospitava le entraineuse dei night di Sondrio (ben 3 ce ne’erano all’epoca) e con loro trascorrevo interi pomeriggi a giocare a carte o in giro a fare shopping. Fu proprio una di queste signorine, Samantha, rigorosamente con l’acca, che mi portò a pranzo nel ristorante di un suo cliente, pardon, amico, per soddisfare la mia curiosità di conoscere i pizzoccheri, il primo piatto valtellinese di cui avevo tanto sentito parlare. Non mi ricordo assolutamente se mi piacquero da subito oppure no, ma mi è rimasta indelebile nella memoria la scenetta cui assistetti appena entrato nella sala del ristorante. C’era una tavolata formata da due famiglie romane con pargoli paffuti al seguito che volevano anche loro conoscere i pizzoccheri, solo che li volevano… al pomodoro. Il proprietario rispose garbato ma deciso, che i pizzoccheri non si fanno col pomodoro, al che i romani insistettero chiedendo della salsa di pomodoro a parte. Il ristoratore, ora un po’ seccato, rispose che no, i pizzoccheri col pomodoro nel suo ristorante non li avrebbe serviti a nessuno, nemmeno se li chiedeva Sandro Pertini in persona, il quale, tra l’altro, essendo persona stimabile e serissima, mai avrebbe compiuto tale scempio. La discussione continuò ancora un paio di minuti, tra minacce di andarsene e rifiuti sempre più sdegnati e offesi, fino alla plateale uscita dei romani che tra qualche mortacci e altre amenità simili abbandonarono il ristorante digiuni e senza pagare il vino già ordinato e in gran parte bevuto.
La mia stima per il ristoratore fu immediata e mi feci ancora più convinto della serietà con cui in Valtellina si rispettava, e si rispetta tuttora, la tradizione culinaria e mi fece pensare tristemente a quegli squallidi locali per turisti danarosi intorno a Piazza San Marco a Venezia, capaci di vendere la pizza alle lasagne, chiamata per l’appunto “bolognese”, pur di soddisfare il turismo più becero e ignorante.
Onde evitare che anche qualche nostro lettore si possa ritrovare nella scomoda situazione dei clienti romani, ho pensato di divulgare urbi et orbi la ricetta classica dei pizzoccheri, così come la mia padrona di casa, che mi accolse tra le sue domestiche mura dopo tre mesi di stravizi, mi ha insegnato a farla nei numerosi week end passati insieme a scambiarsi segreti e ricette tipiche delle nostre rispettive zone.
I pizzoccheri sono delle tagliatelle piuttosto spesse di grano saraceno. Andrebbero fatti a mano, ma siccome so che non lo farebbe nessuno, accontentatevi delle confezioni già pronte di pasta secca, che non sono malvagie. Vanno buttati in acqua bollente e salata dove già stanno lessando delle patate tagliate a grossi pezzi e delle verdure; io usavo delle coste o biete e un paio di foglie di verza, spezzate grossolanamente. Bisogna calcolare bene i tempi in modo che i tre ingredienti raggiungano il livello di cottura ottimale contemporaneamente. In genere i pizzoccheri cuociono in una decina di minuti, dopodichè li si scola, lasciando un po’ di acqua di cottura, si ributtano in pentola e, mantenendo il fuoco basso, si aggiunge una buona quantità di formaggio Casera tagliato a dadini. Lo so, il Casera è difficile trovarlo fuori dalla Valtellina, ma direi che è quasi fondamentale per non tradire il tradizionale gusto del piatto; si può provare con della fontina dolce, ma sappiate che non sarà la stessa cosa. Quando il formaggio sarà fuso e filante, si versa il tutto in una zuppiera, lo si cosparge con abbondante burro fuso insieme a dell’aglio e a delle foglie fresche di salvia (il burro dev’essere di color nocciola) e si dà una generosa impepata. Credetemi, sarà pesantino, ma come piatto unico, bagnato da qualche buon bicchiere di Inferno, è veramente una delizia per ogni palato… benpensante. Certo, se poi ci volete mettere la salsa di pomodoro…